La conservazione degli affreschi attraverso i secoli
L'origine di un capolavoro e il dilemma della ricostruzione
Commissionata con tutta probabilità da Ridolfo dei Bardi, membro della potente famiglia di banchieri fiorentini, la cappella ha uno sviluppo di circa 180 metri quadrati, sui quali Giotto e la sua bottega rappresentarono in sei scene i momenti cruciali della vita del fondatore dell'ordine francescano.
Per quanto riguarda la datazione, la cronologia del ciclo è ancora dibattuta dagli studiosi: sappiamo che gli affreschi furono dipinti dopo la canonizzazione di San Ludovico di Tolosa avvenuta nel 1317, semplicemente perché quell'evento è raffigurato sulla parete di fondo. Tuttavia la datazione oscilla tra il 1317-1321 e una data prossima al ritorno dell'artista a Firenze da Napoli, nel 1333.
Le vicende di questo capolavoro del periodo maturo di Giotto sono travagliate: a lungo si è persa traccia e memoria di quest’opera che venne prima coperta da un’imbiancatura a calce probabilmente già nella prima metà del Settecento, e sulla quale successivamente (nel 1812 e nel 1818) furono inseriti all'altezza del registro inferiore delle pareti laterali due cenotafi degli architetti granducali Giuseppe Salvetti e Niccolò Gaspero Maria Paoletti.
Fu grazie a un nuovo progetto di decorazione della cappella se, nel 1851, porzioni della pittura trecentesca riemersero sotto l’imbiancatura. Il compito di procedere alla riscoperta degli affreschi di Giotto fu affidato a uno dei più noti restauratori dell’epoca, Gaetano Bianchi, che completò l’operazione in circa un anno (tra il 1852 e il 1853), avvalendosi anche dell’aiuto di alcuni frati, prima di procedere al restauro vero e proprio dei dipinti.
Molte delle diffuse abrasioni, graffi e perdite che oggi segnano le pareti dipinte, sono dovute proprio alle procedure meccaniche di rimozione dell’imbiancatura. A seguito della riscoperta i due monumenti funebri addossati alle pareti della cappella furono rimossi causando purtroppo la perdita delle parti di affresco sottostanti. Oggi le sagome di questi due monumenti segnano profondamente l’immagine di un testo potente quanto frammentario.
L'assetto della decorazione dipinta della cappella prima dell'intervento attualmente in corso si deve ai lavori di recupero condotti tra l'estate del 1957 e la fine del 1958 da due protagonisti del restauro fiorentino del Novecento: il Soprintendente Ugo Procacci e il restauratore Leonetto Tintori.
Intorno a queste due tappe si concentra un dibattito cruciale per la storia del restauro negli ultimi 150 anni, che fa della Cappella Bardi un luogo emblematico: se infatti l’intervento ottocentesco fu un vero e proprio ripristino in stile medievale, tipico dell’epoca e comprendente il rifacimento di tutte le parti mancanti, un secolo dopo Tintori e Procacci fondarono il proprio lavoro sul recupero di quella “grande luce di autenticità” (nelle parole di Tintori) che le pitture di Giotto, occultate dalle ridipinture di Bianchi, erano ancora in grado di rivelare. La scelta fu quindi quella di rimuovere integralmente le ridipinture ottocentesche (conservandole per il loro valore documentario) e di non intervenire con alcuna forma di integrazione pittorica, lasciando parlare soltanto quello che rimaneva della pittura di Giotto.