L’immagine di san Francesco
Francesco d’Assisi viene proclamato santo nel luglio 1228 da papa Gregorio IX, meno di due anni dopo la sua morte. Tommaso da Celano scrive la Vita prima nel 1228-1229, ma nel 1263 viene approvata la Legenda maior redatta dal Generale dell’Ordine Bonaventura da Bagnoregio, e nel 1266 tutte le biografie precedenti vengono distrutte e proibite. Si fa così esplicita la volontà di attenuare i caratteri più dirompenti del pensiero del fondatore, in accordo con il crescente potere assunto nell’Ordine dai conventuali, che volevano presentare un santo non ai margini della società. Se nella Tavola Bardi le storie della vita che circondano Francesco, e anche la sua stessa immagine, sono improntate alla narrazione di Tommaso da Celano, in seguito molte raffigurazioni eseguite per Santa Croce sono ispirate alla Legenda maior di Bonaventura.
Glabro o barbuto: interpretazioni a confronto
Tommaso, che aveva conosciuto Francesco, lo descrive con “barba nigra” e rada (Vita Prima, XXXIX, 83), e così viene raffigurato da Coppo di Marcovaldo intorno al 1245-1250, ma anche da Taddeo Gaddi nella Sagrestia (nelle tavolette dell’armadio delle reliquie del 1335-1338 circa, oggi divise tra la Alte Pinakothek di Monaco e la Galleria dell’Accademia di Firenze, oltre che nella Crocifissione del 1340 circa) e nel Cenacolo (1350 circa), e da Agnolo Gaddi in una delle posizioni più visibili dell’intera chiesa: la vela della volta sopra l’altare maggiore (1380-1390?).
Ancora barbuto è raffigurato da Giovanni della Robbia (1490 circa) nel busto, già su un portale della cappella Medici, ora nella cappella Cerchi/Canigiani. Francesco ha la barba nel pannello del polittico di Giovanni del Biondo nella cappella Rinuccini (1379) con San Francesco sposa madonna Povertà: un soggetto raro, che già indirizza verso l’ala rigorista dell’Ordine.
Giotto mostra Francesco glabro negli affreschi della cappella Bardi (1317-1321?), e lo aveva presentato così anche nel Polittico Raleigh (North Carolina Museum of Art, 1305-1310) probabilmente già sull’altare della cappella Peruzzi.
Lo raffigurano rasato Domenico Veneziano nell’affresco staccato già nella cappella Cavalcanti (1450 circa), Andrea della Robbia nel dossale in terracotta invetriata eseguito nel 1475 circa per la compagnia di San Bartolomeo detta “la Capanna” (oggi cappella Cerchi/Canigiani), Benedetto da Maiano in un riquadro del Pulpito (1481-1487). Nell’ambito dell’Ordine si faceva strada infatti la tendenza che mitigava le implicazioni più rivoluzionarie del pensiero del fondatore, dato che all’epoca gli uomini dovevano essere rasati se non volevano apparire degli emarginati. Certamente questi committenti – facoltose famiglie di mercanti-banchieri (Bardi, Peruzzi, Cavalcanti, Mellini) o ricchi confratelli della Capanna – influivano sulla scelta del tipo iconografico da seguire, e le due contrapposte immagini del santo, e le due anime dell’Ordine, convivono a lungo in Santa Croce.
Stimmate
Le stimmate sono tratto peculiare di Francesco, il primo ad averle ricevute dopo Cristo: l’avvenimento, il più famoso e il più rappresentato della vita del santo, ebbe luogo alla Verna nel settembre 1224. In Santa Croce viene riproposto da Coppo nella Tavola Bardi, da Giotto nel riquadro sopra la Bardi, da Taddeo Gaddi sia nella vetrata della cappella Baroncelli (1328-1330 circa) che nella parete di fondo del Cenacolo.
Lo rappresentano anche Pagno di Lapo Portigiani nel lavabo marmoreo in sagrestia (1440-1455 circa), Benedetto da Maiano nel Pulpito, e Andrea della Robbia nel dossale per la compagnia della Capanna. Le scene si differenziano per la presenza o meno del compagno, per l’ambiente più o meno selvaggio e il numero degli edifici che vi compaiono, mentre solo Pagno di Lapo non contestualizza la figura di Francesco. Tutti fanno riferimento a Bonaventura, che descrive dettagliatamente l’episodio e la visione del serafino dalle sembianze di Cristo (Legenda maior, XIII, 1122-1127).
Francesco e il sultano d’Egitto
Significativa è anche la raffigurazione della Prova del fuoco dinanzi al sultano d’Egitto, che sarebbe avvenuta durante il viaggio in Medio Oriente del 1219-1220. L’episodio, messo in dubbio dagli studiosi, è narrato da Bonaventura nella Legenda maior (IX, 1174-1175) con i sacerdoti di al-Malik al-Kamil sfidati a camminare attraverso il fuoco per dimostrare la verità delle proprie ragioni (ordalia). Giotto lo illustra nella cappella Bardi e Benedetto da Maiano nel Pulpito, e il primo sottolinea il contrasto tra le due posizioni: la fretta dei sacerdoti di allontanarsi per paura di dover affrontare la tenzone, mentre il volto del sultano esprime ira per la loro codardia. Coppo nella Tavola Bardi, fornisce una versione diversa ispirata a Tommaso da Celano (XXXIX, 57) che descrive come il sultano, non essendo riuscito a convertire Francesco con doni preziosi lo ascolta “commosso dalle sue parole”. Un atteggiamento molto diverso dalla raffigurazione giottesca con la volontà di Francesco di convincere attraverso le parole e l’esempio, non con una prova di forza.
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