Tomba monumentale di Giovan Battista Niccolini
Le condizioni conservative della tomba monumentale di Giovan Battista Niccolini non erano soddisfacenti perché l’opera – oggetto solo di una pulitura sommaria e di una patinatura nella parte inferiore dopo l’alluvione del 1966 – aveva un aspetto deturpato dal compatto e abbondante deposito di polvere che impediva una corretta lettura delle superfici.
Al di sotto della polvere, la superficie aveva una colorazione ambrata, a volte perfino marrone. Questo colore, molto scuro e alterato, visibile sull’intero monumento e non solo nella sua parte inferiore, era stato patinato dopo la rimozione del fango alluvionale per attenuare gli sbiancamenti e gli aloni di nafta. Ovunque sulla stele e sulle braccia della statua affioravano colature chiare, fitte e parallele dovute alle abbondanti perdite di acqua piovana provenienti dai tetti della basilica che purtroppo si sono protratte a lungo nell’Ottocento e nel secolo scorso.
Dopo un’accurata spolveratura, la pulitura delle superfici è stata effettuata con metodo chimico ma con supporti diversi in base alla tenacia delle sostanze e alla compattezza dei depositi da rimuovere. Sono stati eseguiti numerosi impacchi localizzati, poi in modo più diffuso, sono state eseguite delle tamponature di cotone esercitando una leggera azione meccanica.
Sulla superficie lapidea non è stato applicato alcun protettivo finale, ma è stato sufficiente l’impiego di una pelle di daino per lucidarla, rinnovando la vecchia cera.
La raggiera in ottone, posta sulla sommità della testa e composta da una sorta di fiaccola sulla quale sono avvitati nove raggi, ne presentava uno spezzato e mancante. Molto scura e macchiata sia per i depositi superficiali che per l’alterazione di vecchi trattamenti che le avevano conferito una colorazione bruno/verde opaca, è stata pulita con impacchi, mentre gli ultimi residui sono stati rimossi meccanicamente con l’aiuto di microspazzoline; infine è stato applicato un protettivo antiossidante. Il raggio mancante è stato ricostruito con uno stucco epossidico fibrorinforzato mediante l’esecuzione di un calco e incollato con resina, infine patinato.
Non meno impegnativo è stato l’intervento sull’intonaco di fondo, sulla fascia in malta e sulla pietra serena dell’arcosolio.
Il restauro ha messo in evidenza un’interessante peculiarità: rispetto ad altre opere dell’artista, estremamente levigate e lucidate, la superficie della statua presenta un diverso grado di finitura nella lavorazione, mostrando tutte le impronte degli strumenti utilizzati. Con tutta probabilità, dopo aver portato in Santa Croce la scultura – quasi certamente già finita in atelier dalle maestranze di bottega – Pio Fedi ha eseguito una ri-lavorazione della superficie in loco, per lo più a gradina, per evidenziare meglio il contrasto chiaroscurale creatosi con la sua collocazione definitiva in controfacciata.
Il monumento è stato poi riprodotto tramite scansione ad altissima risoluzione in 3D a opera della Kent State University per essere esposto alla mostra Sisters in Liberty, progetto espositivo promosso dall’Opera di Santa Croce insieme all’Ellis Island Museum of Immigration di New York (2019-2020).